“La società in cui viviamo è giunta ormai nel terzo millennio, portando con se tutti quei valori positivi e negativi, che si possono ben vedere in gran parte del mondo occidentale. Se da un lato, lo sviluppo del progresso, dell’industrializzazione e l’aumento della ricchezza media per ogni cittadino, hanno determinato una parallela “crescita illusoria” del benessere generale, è evidente che diverse e tangibili problematiche, spesso incontrollabili, affliggono il mondo contemporaneo. Droga, inquinamento, povertà, malgoverno, diminuzione dei valori di riferimento, sono solo alcuni degli argomenti che riempiono assiduamente le pagine dei quotidiani e danno lavoro ai cosiddetti ”opinionisti del dolore”. Negli ultimi tempi ho avuto modo, come medico, di essere partecipe a molte storie di anziani che vivono in uno stato di disinteresse generale, emarginati dal tessuto sociale e abbandonati al proprio destino. In merito, credo sia dovuta una riflessione, su chi sono gli anziani. A che età lo si diventa, cosa può pretendere un anziano dalla società e cosa un uomo può ancora dare alla collettività, a chi e in che modo? I temi sono molti e per fortuna i sessantenni, quelli che fino a pochi anni fa erano considerati anziani, oggi non lo sono più, proprio perché grazie al benessere generale, vivono nel pieno delle loro forze, spesso ben inseriti nella realtà quotidiana, del lavoro e della famiglia, tanto che la” loro esperienza è di fondamentale sostegno allo sviluppo del paese”. Dunque il problema si è spostato negli anni, in quanto la vita media si è allungata ed i cittadini che hanno superato i 70, se non gli 80 sono sempre più numerosi e si trovano ad affrontare da soli le molteplici carenze assistenziali, economiche, previdenziali, ed affettive, che la nostra arida società non ha saputo affrontare.
Carenze quindi generate dall’evoluzione della società sempre più attenta a chi produce ricchezza e sempre meno disponibile a sostenere il prossimo che non può produrre e che ha poco, in tutti i termini, per consumare. Fino a pochi decenni fa gli anziani vivevano nell’ambiente famigliare per tutto l’arco della vita mentre oggi molti, i più fortunati, vengono accolti in case di riposo, le cosiddette RSA: un eufemistico “modo di dire” per intendere più in sintesi solitudini poste l’una accanto all’altra mentre per i più disagiati, e sono la maggioranza, non vi è né il calore della famiglia né il sollievo di essere custoditi in una collettività. Questo radicale mutamento è il frutto dei tempi, di una società, che vinta dal ritmo del successo e dal superamento dei valori passati, trascura quelli più tradizionali. Gli uomini, pertanto, hanno dimenticato il concetto di sacrificio , inteso nel suo più nobile significato, facendosi loro stessi portavoce di un’etica e di una cultura edonistica, che mira in particolar modo a premiare il consumismo e la incommensurabile ricerca del piacere materiale. Purtroppo, nel nostro paese, sono molto carenti le strutture sociali, che spesso non si rilevano confacenti alla mena accoglienza della popolazione della cosiddetta “III” età, un dato sconfortante, visto che oggi un italiano su cinque ha superato i 60 anni. Quindi vi è innanzitutto il predominare di una lenta e progressiva emarginazione, dolorosa e reale che è di origine interiore e deriva dal fatto che nessuno, si pone in ascolto di queste persone. Questa deleteria situazione fa si che essi non riescano ad esprimere i loro sentimenti, portandoli verso un mondo dove l’ansia, la paura e la solitudine sono gli elementi predominanti di questa tragica condizione di vita. Capita spesso di incontrare nelle città, dei volti…